“Educare alla pace”, è questo l’impegno che abbiamo assunto, sapendo che la soluzione ai gravi problemi che ci affliggono non sono la guerra e la violenza. Il ricorso alla violenza, infatti, “… non permette né di regolare i conflitti né di porre le basi di una società rispettosa di tutti i suoi membri”. “Le tenebre non si dissipano con le armi; le tenebre si allontanano accendendo fari di luce…” (Giovanni Paolo II 29.10.01 e 25.01.02).
La pace va perseguita ripristinando le condizioni perché essa sia percorribile, nella certezza che senza la giustizia, senza il riconoscimento della dignità d’ogni uomo e senza un’equa distribuzione dei beni della terra la pace resta una parola vuota.
Occorre, di conseguenza, stimolare in ciascuno ed in tutti lo spirito e l’azione che ci faccia essere “in prima linea nella necessaria lotta per la giustizia e la solidarietà, che ridonano speranza al mondo”.
Il nostro vuol essere un messaggio di speranza e di pace in un momento delicato della storia dell’umanità.
La consapevolezza di abitare in un mondo in cui crescono miseria, violenza e schiavitù, deve tradursi nell’ urgenza di un ripensamento che richiami le dimensioni fondamentali dell’esistenza, “perché il nemico non è solo fuori di noi ma è anche in noi, nella nostra società, e si traduce nell’individualismo, nella corsa esasperata al progresso, nell’idolatria che esclude l’altro e opera uno sfruttamento senza ritorno sul creato”.
Educare alla pace significa innanzi tutto individuare pagliuzze e travi da rimuovere, per fugare il rischio che l’insistenza egemonica del mondo occidentale produca uno scontro di civiltà. Occorre creare condizioni di reciprocità sufficienti per dare e ricevere il perdono. Il nostro perdono diventerà un’occasione per creare i presupposti per realizzare la pace e la giustizia. Ecco la nostra ripartenza!
La nostra è una civiltà che tende all’aberrazione. Nostro compito è di restituire un’anima ad un mondo che tende a degenerare, che propone rapporti senz’anima. Tale operazione implica un processo di conversione che abbracci tutte le dimensioni del vivere (cosa è chiesto a noi cristiani?), che attraverso la”terapia della fraternità” (più che la fredda logica della giustizia retributiva) operi una rivoluzione pacifica della nostra società poco fraterna e poco pacifica. Occorre ridonare all’uomo le proprie risorse spirituali perché l’umanità possa avere un futuro.
La fraternitas, propone un modello di legame umano e sociale improntato alla condivisione del cammino salvifico, alla presa di coscienza che ciascun uomo davanti a Dio vale quanto vale il suo cuore. Lo stile di vita di Francesco è un susseguirsi di strappi (con la protervia paterna, con il potere del denaro, con le convenzioni sociali), purtuttavia egli visse in pienezza il suo tempo, proponendo un modello alternativo di umanità, redenta e pacificata.
Dobbiamo farci fratelli per poter così divenire parte attiva del progetto di pace, l’incontro con l’altro genera qualcosa di nuovo.Noi tutti, moderni profeti di giustizia, abbiamo il compito di testimoniare cosa si nasconde sotto il velo dell’apparente benessere della nostra società.
Per costruire la pace dobbiamo passare dalla denuncia alla testimonianza e dalla testimonianza all’incarnazione di una ferita. Dobbiamo cioè, in un gesto di estrema condivisione, sentire il dolore di chi soffre nella consapevolezza che finchè ci sarà sulla terra un solo bambino costretto a morire di fame, finché il diritto all’esistenza non sarà garantito a tutti, non ci sarà né giustizia né pace.